Smart working, le sue sfide, la necessità per le aziende di riportare i dipendenti sul posto di lavoro in lavoro ibrido, con un nuovo «ufficio ibrido», che garantisca piacevolezza e comfort ma, anzitutto, nuove tecnologie digitali e cyber security. Ecco come si sta muovendo in Italia l’Hotel Aldrovandi Villa Borghese di Roma, in quest’intervista esclusiva al suo CFO Demetrio De Giorgio.
«Lo smart working? Un tema di assoluta attualità per noi: lo abbiamo trattato lungamente durante questa fase emergenziale. Certo, un hotel, con una forte operatività e che richiede molto personale sul posto di lavoro, come in sala, vive una situazione particolare: siamo, però, tuttora chiusi ed è necessario far lavorare da remoto almeno i dipendenti con posizioni da back-office. Le sfide, però, non sono mancate e stiamo tuttora lavorando per risolverle, alla luce del nuovo lavoro ibrido che vogliamo implementare». Esordisce così Demetrio De Giorgio, CFO e Board Member all’Hotel Aldrovandi Villa Borghese di Roma. «Un’azienda piccola, con fatturato di € 10 milioni, 80 dipendenti di cui il 20% in smart working»: esempio illuminante, però, di una situazione che riguarda tutti. Specie perché in Italia: dove il lavoro agile mostra criticità – che si ripresentano anche nella creazione del nuovo lavoro ibrido – quali anzitutto tecnologie digitali carenti e difficoltà nell’innovazione digitale.
SMART WORKING, I VANTAGGI
«Da noi lo smart working è stata una scelta difficile: purtroppo, però, la clientela dei 5 stelle lusso fa fatica a riprendere. Il mercato americano, nostra principale fonte di reddito, ha riaperto solo la settimana scorsa. Siamo ancora chiusi», spiega De Giorgio. «Il lavoro agile è stata una necessità».
«Sicuramente ha dei benefici», continua. «Anzitutto, l’aspetto logistico, specie in una città come Roma: lavorare da casa fa risparmiare tempo, utilizzabile in altre attività, per un maggior equilibrio tra lavoro e vita privata».
«Ciò significa anche maggior flessibilità, utile in momenti in cui si ha bisogno di concentrarsi più “in solitario” sul proprio lavoro, senza distrazioni».
«Ci sono poi», conclude, «vantaggi economici. Non prendere l’auto tutti i giorni o evitare l’abbonamento ai mezzi pubblici significa risparmio a fine mese».
SMART WORKING, LE SFIDE
«Lavorare da remoto, però, presenta anche molte criticità, che abbiamo vissuto sulla nostra pelle», spiega De Giorgio. «La prima? Disaffezione e mancanza di team working. Il puro smart working, alla lunga, crea disaffezione e non mette in moto il giusto lavoro di collaborazione, in sinergia coi colleghi. Anche ritrovarsi alla “macchinetta del caffè” crea uno scambio di idee che favorisce riflessioni comuni e la nascita di nuove idee. Questo incide sulla produttività».
Senza contare la vivibilità: «Ho vissuto situazioni allucinanti», spiega. «Lavorando da casa, avevo i miei due figli connessi in DAD ciascuno nella sua stanza, la mia compagna a lavorare da un’altra ed io a fare call in un’altra ancora. Una casa da disadattati».
E poi c’è la questione monitoraggio della produttività, della buona performance dei collaboratori. «Questo vale soprattutto per figure junior, con maggiori difficoltà a sentirsi responsabilizzate: un senior sa già che lavora per obiettivi ed è più orientato al risultato, si sa gestire meglio. Smart working per tutti, però, rischia di trasformarsi in un lavorare da casa a non fare nulla».

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TECNOLOGIE DIGITALI CARENTI
Ma non finisce qui. «Il vero problema sono tecnologie digitali che mancano», afferma, «su un doppio piano: Digital Divide e carente innovazione digitale in azienda».
Per il primo aspetto, le difficoltà di connettività digitale riguardano tutti noi, ma le istituzioni non si stanno muovendo. «Noi a Roma siamo fortunati: abbiamo affidabilità superiore. Basta spostarsi, però, e tutto cambia. Quest’estate avevo scelto una “vacanza-lavoro” – non sull’Everest, ma in Sardegna. Le infrastrutture erano totalmente carenti: difficoltà di connessione telefonica e Internet, di trovare persino un centro Mail Boxes per stampare documenti. E avevo pure il mio laptop, a differenza di tanti. In generale, non è detto che il lavoratore da remoto abbia una linea di connessione ad alta velocità. Molti nostri dipendenti lavorano fuori Roma, in campagna e mi dicono: “Devo collegarmi alle call usando il telefono come bridge”. Così non lavorano con efficacia».
Venendo al caso specifico delle aziende, e di Aldrovandi in particolare, la situazione non migliora. «Il problema è, anzitutto, logistico-strutturale. Le attività di chi è stato spostato in lavoro agile erano e sono basate su server presenti fisicamente in azienda, che girano malissimo da remoto. Inoltre, non eravamo dotati della tecnologia hardware e software adeguata e non eravamo pronti: si era sempre scelto di puntare su strutture fisse come i desktop. I dipendenti avrebbero dovuto essere dotati di laptop. In tempi di crisi, però, convertire gli asset aziendali da desktop a laptop avrebbe implicato un budget dedicato, per noi proibitivo».
L’ostacolo per la trasformazione digitale è stato dunque economico. «Abbiamo potuto fornire di laptop solo singole unità di aree più snelle, che già lavoravano su piattaforme web based o con programmi installabili agevolmente. Ci ha facilitato un po’ la mentalità “internazionale”: siamo di proprietà straniera ed eravamo già orientati verso strumenti digitali per video conferenze e riunioni digitali».
D’altronde, imporre ai dipendenti di avere un laptop o una connessione ad alta velocità pone un serio aspetto contrattuale: «Chi paga questi costi? L’azienda? Il lavoratore?».
Per non parlare di privacy e cyber security, come già discutevamo nel nostro articolo, «Corporate Real Estate: riorganizzare il posto di lavoro del futuro». «Pensate al dipendente che, come spesso accade, fa un uso promiscuo di questi strumenti, o se mette come password “1234”. Ciò può impattare seriamente la sicurezza dei dati aziendali».

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L’URGENZA DEL LAVORO IBRIDO: MA LE DIFFICOLTÀ RESTANO
«Ora occorre riportare i dipendenti sul posto di lavoro», continua De Giorgio. «Non si può restare allo smart working: urge passare da un lavoro agile “puro” a un nuovo modello di lavoro ibrido».
Non è facile, però. «Restano barriere economiche»: da abbattere per creare un ufficio ibrido, che offra il comfort del lavoro da casa e l’innovazione di tecnologia digitale a livello logistico-strutturale – server performanti, strumentazione su laptop, connessione veloce – e di cyber security.
Come si sta muovendo, comunque, Aldrovandi per creare il nuovo ufficio ibrido? «Anzitutto, stiamo cercando di realizzare un ufficio attrattivo, dove i dipendenti vengano con piacere e trovino i giusti comfort, per essere performanti e produttivi. Pensiamo a postazioni consone e adeguate al lavoro, spazi comuni con aree di ristoro, sedie ergonomiche. Lavorando in smart working, io stesso dopo due giorni avevo bisogno dell’osteopata».
«Stiamo valutando, inoltre, di potenziare la nostra infrastruttura digitale, di dotare più dipendenti possibili di laptop e delle classiche “saponette” per la connessione veloce da ovunque, o di soddisfare chi richiede un rimborso spese per l’installazione di linea dati casa. Ancora, stiamo provando a fornire i nostri dipendenti di firma digitale PEC, per migliorare i processi di autorizzazione formali. Un servizio utile anche per favorire privacy e cyber security, rendendo più sicuro lo scambio di documenti sensibili».
Rimangono però le difficoltà sopracitate: la necessità di stanziare il budget economico per realizzare tutto questo. «Occorrerebbe destinare risorse del 25%-30% in più e ciò pesa in fase di valutazione. Bisognerebbe fruire di incentivi, contributi: altrimenti resta tutto legato alle decisioni soggettive delle aziende e alla loro possibilità di far fronte a costi e burocrazia, elementi che possono frenare anche chi è più spinto da spirito imprenditoriale».
«Noi», continua, «stiamo facendo i preventivi di noleggio, ma è complesso. Le multinazionali, magari, possono permetterselo, ma un’impresa come la nostra ha difficoltà e non riesce a sostenere i costi. Niente è facile: nemmeno controllare che le “saponette” per la connettività, che pure si dovesse riuscire a fornire, siano utilizzate correttamente. Occorrerebbe capire come controllare che il dipendente non ne faccia un uso improprio».
«Ad ogni modo», conclude, «vogliamo intervenire sul piano di innovazione tecnologia digitale e infrastrutturale, per creare un ufficio ibrido coi dovuti strumenti per lavorare in maniera equa, con connessioni funzionanti e livello di sicurezza dei dati adeguato. Certo, il nostro business è quello che è, ma stiamo lavorando per trovare il budget necessario».
E quando avverrà? «Se non è oggi, sarà domani», conclude. «Confesso: non è al primo posto dei nostri To-Do. Certo, però, è uno dei punti in maggior evidenza in agenda. Crediamo che l’innovazione digitale farà la differenza anche per essere più attrattivi sul mercato del lavoro: sempre più lavoratori, infatti, non vogliono tornare semplicemente in ufficio, ma cercano un lavoro ibrido per operare ovunque, da casa come sul posto di lavoro, con le giuste garanzie».
#TAKEAWAYS
- Lavoro agile, vantaggi e sfide, carente innovazione di tecnologia digitale: Demetrio De Giorgio, CFO Hotel Aldrovandi Villa Borghese di Roma, conferma i risultati delle nostre ricerche e porta il case study della sua azienda, due volte importante perché italiano. Eccone i punti chiave.
- Smart working, benefici sì, ma anche criticità: disaffezione e mancanza di team working, vivibilità, monitoraggio delle performance e, soprattutto, tecnologie digitali carenti in termini di Digital Divide e innovazione digitale in azienda.
- Urge un nuovo modello di lavoro ibrido, che offra il comfort del lavoro da casa e l’innovazione di tecnologia digitale a livello logistico-strutturale – server performanti, strumentazione su laptop, connessione veloce – e di cyber security.
- Gli ostacoli: barriere economiche e burocrazia da smantellare, per mettere a budget le risorse necessarie.