Se tante imprese si impegnano oggi per riportare i dipendenti sul posto di lavoro – con un nuovo modello di lavoro ibrido che non sia più smart working puro – il modello vincente, piuttosto, starebbe ancora nel remote working: aumenta la produttività. A una condizione, però: che l’azienda fornisca i dipendenti dell’opportuna tecnologia digitale per lavorare da ovunque. A testimoniarlo, il caso Hunters, illustrato da Davide Boati, suo Executive Director.
La soluzione per il nuovo modello di lavoro? Starebbe in un’accoppiata vincente: remote working e tecnologia digitale.
Tante imprese, nella fase attuale, intendono sempre di più introdurre un nuovo modello di lavoro ibrido, che combini lavoro in ufficio – per la maggior parte – e lavoro da casa, in forma residuale. Lo smart working non è esente da sfide, ma neppure lo è l’organizzazione di un ufficio ibrido, che renda efficace operare a distanza come dal posto di lavoro. La criticità? Mancanza di innovazione tecnologica, tecnologia digitale, cyber security. Conseguenze? Calo di produttività, difficoltà nel raggiungimento dei risultati, problemi nel conciliare le esigenze delle imprese con quelle dei lavoratori, carenza nella sicurezza dei dati. D’altronde, ne abbiamo già discusso nel nostro articolo: «Tecnologia digitale e cyber security per il nuovo ufficio ibrido».
Numerose aziende italiane, però, sono ancora ferme su questo piano: da qui le tante difficoltà. La via d’uscita? Remote working e innovazione della tecnologia digitale. Il lavoro da remoto, infatti, aumenterebbe la produttività: affinché, però, i benefici si protraggano a lungo, le aziende devono dotare i dipendenti dell’adeguata strumentazione tecnologica e informatica per risolvere le sfide del lavoro da casa e garantire a tutti di lavorare in benessere, gradevolezza, produttività ed efficacia da qualunque luogo. Certo, solo aziende “illuminate” – e con il necessario budget – possono riuscirci. C’è però una società in Italia che ce l’ha fatta e indica la strada per uscire dalle criticità: è il caso di Hunters – azienda di head hunting, ricerca e selezione diretta di personale con sedi a Milano, Padova e Bologna e, dal 2022, anche Roma, con 70 dipendenti all’attivo – qui testimoniato dal suo Executive Director Davide Boati, a capo della gestione di tutto il team di middle e top management, un gruppo di circa 40 consulenti.
DALLO SMART WORKING AL REMOTE WORKING
Qual era il modello di lavoro di Hunters prima del lockdown e com’è cambiato nel tempo? «Già in fase pre-pandemica eravamo abituati allo smart working», spiega Boati, «ma inteso appunto come smart working, lavoro “intelligente”. È sempre stata nostra consuetudine spostarci fuori sede o fuori città, per incontrare i clienti. A quel punto, una volta fuori, non occorreva affrettarsi a tornare in ufficio e mettersi a lavorare al PC dalla propria scrivania. Si restava dove si era per il tempo necessario a terminare il lavoro. Senza contare che noi, spesso, “viviamo” di telefonate, fattibili tranquillamente dall’auto tra uno spostamento e l’altro».
«Certo», continua, «quando siamo entrati in lockdown, da marzo 2020, è cambiato tutto. Siamo passati dallo smart working al remote working: il vero e proprio lavoro da remoto. Questo ha creato sicuramente disagi, specie per le persone della mia generazione, abituate da vent’anni ad andare in ufficio dalle 9 alle 18. Inoltre, il nostro è un lavoro di relazione, fatto di incontri continui, non di pura operatività seduti davanti a un computer».

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REMOTE WORKING? MAGGIOR PRODUTTIVITÀ
«Abbiamo avuto però positive sorprese», prosegue Boati. «Il remote working ha aumentato la produttività. Stop agli spostamenti, che a noi richiedevano molto impegno, sia tra casa e ufficio sia nei meeting coi clienti. Risultato? Più ore a disposizione: per fare attività di ricerca, selezione, recruiting, non solo per avere maggior tempo libero – pur sacrosanto – per le proprie attività personali e un miglior equilibrio vita-lavoro. Ciò ha significato imparare a realizzare un lavoro di maggior qualità».
«Ciò implicava, certo, che vi fosse più responsabilizzazione: ma è proprio quel che è successo. I dipendenti si sono responsabilizzati, e anche parecchio. I giovani poi, che da noi sono la maggioranza, hanno risposto benissimo. Concludendo, abbiamo visto coi nostri occhi che la produttività in questi mesi da casa è aumentata di molto. Pertanto, anche adesso che abbiamo un po’ “riaperto” gli uffici, si è fatta una scelta precisa: solo due giorni sul posto di lavoro, lasciando comunque piena facoltà di decidere se venire di più in ufficio o regolarsi così e proseguire col lavoro da remoto. Quasi tutti scelgono di lavorare da casa il più possibile. E sono convinto che l’opzione di operare in remote working sarà determinante anche per le scelte dei lavoratori del futuro. Le aziende dovranno stare attente a “vietarlo” o limitarlo troppo, per non ritrovarsi senza candidati interessati alle loro posizioni».

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TECNOLOGIA DIGITALE, CHIAVE DEL REMOTE WORKING DI SUCCESSO
Com’è possibile, però, un simile “paradiso”? Tanti hanno sperimentato benessere, sì, maggior equilibrio vita-lavoro, ma anche mille difficoltà di connettività, mezzi tecnologici inadeguati e inefficienti, e le aziende hanno rischiato in cyber security, con accessi alle reti tramite password non sicure. «In effetti, noi abbiamo avuto un plus», ammette: «la necessaria tecnologia digitale. Nell’arco di una settimana, l’azienda ha messo a disposizione dei dipendenti l’indispensabile strumentazione tecnologica, in termini informatici e digitali, per poter lavorare da ovunque».
Che cosa s’intende, esattamente? «Qualche esempio. Non tutti avevano un laptop, essendoci i PC aziendali. Non tutti avevano gli smartphone più avanzati, potendo contare sui telefoni in ufficio. Ancora, non tutti avevano una connessione veloce a casa: magari non avevano proprio una connessione. Noi abbiamo agito, anzitutto, su questi tre fronti».
«In brevissimo», prosegue, «l’azienda ha dotato tutti i dipendenti di laptop e smartphone. Inoltre, ha chiamato tutti i principali operatori e ha fatto installare, a casa di chi non l’aveva, connessione veloce: ovviamente a spese dell’azienda. Da quel momento, il nostro lavoro è cambiato. L’opportunità di avere tutta la necessaria strumentazione anche a casa ha consentito che ogni nostra attività venisse quasi interamente digitalizzata: specie per un certo periodo, i contatti con clienti e candidati si sono svolti solo via web. E tutto ciò senza nessun problema: anzi, con quell’aumento della produttività che citavo».
Un miracolo? «Non è stato semplice, ma abbiamo fatto di necessità virtù. Non avevamo scelta: altrimenti, il lavoro di almeno il 40% dell’azienda si sarebbe fermato e saremmo rimasti bloccati troppo tempo».
Ecco la chiave. Il remote working funziona, in efficacia, efficienza, benessere per tutti: a patto che l’impresa possa – e voglia – implementare la necessaria tecnologia digitale per renderlo possibile.
E sul fronte cyber security? «Avevamo già un ottimo partner IT», spiega. «Qualcosa è stato ottimizzato, ma lo avremmo fatto comunque. Più che altro, abbiamo cambiato le regole della sicurezza. Come nell’home banking, abbiamo previsto password precise da inserire a ogni accesso agli strumenti aziendali: effettuato l’accesso, arriva un messaggio di notifica sul cellulare. Questo impedisce che si verifichino accessi indesiderati ai dati aziendali e la sicurezza è salva». Stop, insomma, alle password tipo “1234”: «Volevamo garantire la sicurezza dei dati. Nel nostro CRM abbiamo dati sensibili, quali i nomi dei candidati, di tutte le aziende: non avevamo scelta».
LA SITUAZIONE A OGGI
«Come detto, noi facciamo due giorni in ufficio e tre da casa, con facoltà di scelta per il dipendente di venire di più, o stare di meno, a seconda delle esigenze. Flessibilità è la parola d’ordine. So bene che, in questo periodo, molte imprese, specie le grandi multinazionali, impongono regole molto più ferree per il rientro in ufficio: ma per me è un errore. Certi lavori, come nel settore produzione, non possono essere svolti adeguatamente da remoto. Per tutti gli altri, però? Per chi può svolgere il proprio lavoro da casa» – se con la giusta tecnologia digitale, aggiungiamo noi, come accaduto in Hunters – «non v’è alcuna necessità di recarsi ogni mattina in ufficio, perdendo due ore in macchina. Sarà molto più produttivo così. Inoltre, come ripeto, lasciare flessibilità e facoltà di remote working sarà chiave di volta anche nelle scelte dei giovani per il loro lavoro futuro».
TAKEAWAYS
- Se è vero che le aziende stanno tentando di riportare i dipendenti sul posto di lavoro, la soluzione vincente starebbe ancora nel remote working: purché implementato con la necessaria tecnologia digitale. È quanto emerge dal caso Hunters, qui testimoniato dal suo Executive Director Davide Boati.
- Tale case study dimostra come il lavoro da remoto aumenti la produttività: favorisce non solo il benessere, ma anche la crescita di un lavoro di maggior qualità.
- Questo, però, a patto che le imprese possano – e vogliano – investire in cyber security e nel dotare i dipendenti della strumentazione tecnologica e informatica